Un racconto polinesiano (17-8-2020)

Una sera, all’interno della laguna di Raiatea, ci si affiancò un vecchio pescatore. Aveva dei lunghi capelli bianchi e il fiore all’orecchio. Ci vendette il pesce e scambiammo le consuete chiacchiere:
– Dove andate?
– Domani usciamo dalla passe e dirigiamo per Huahine.
Scosse la testa.
– Domani sarà una brutta giornata. Ci sarà maramu, il vento da sud. Non buono. State attenti.
Prima dell’alba eravamo già svegli, la traversata era lunga ed eravamo impazienti. Nel buio non si vedeva da qua a là e quando il sole presumibilmente sorse non cambiò nulla. Le nuvole erano bassissime, pioveva a dirotto e il vento soffiava forte. 
Uscimmo dalla passe e porca miseria quanto aveva ragione il vecchio. Non so perché, ma in ogni parte del mondo il vento da sud porta pioggia e onde. E qui non era diverso, se non fosse che per le misure.
Ora mi dovete credere.
Io non ho mai visto delle onde così grandi in vita mia. Non credevo possibile potessero esistere delle robe simili. In pieno oceano la barca saliva sull’onda, saliva, saliva e saliva ancora. Un’ascesa infinita. E quando eravamo sulla sommità stavamo veramente in alto, vedevamo il mare in tempesta sotto di noi e l’orizzonte era lontanissimo nascosto dalle creste bianche delle onde. 
E poi la discesa, a una velocità folle si scendeva sulla spalla dell’onda precipitando giù in basso in un buco infinito che intorno era tutto blu e laggiù in fondo non si vedeva più nulla. 
Masse d’acqua frangevano in coperta e spazzavano via tutto in un frastuono poderoso prima di ricominciare a salire per una nuova ascesa sull’onda successiva.
E qui mi dovete credere ancora.
Queste onde erano così grandi che si fa fatica a spiegare quanto. Delle colline in movimento. Ma colline così grandi che la cima non era una roba come la conosciamo noi. Sulla sommità c’era spazio per tre onde che frangevano una dietro l’altra. Sulla cima dell’onda, mi dovete credere.
Se ho avuto paura? Certo che ne ho avuta, ci mancherebbe. Paura e rispetto. Vedevo la mia espressione sui visi dei miei compagni, quelli che resistevano al mal di mare e non stavano in cuccetta a vomitare. Vedevo i lineamenti tesi, le parole dette a mezza bocca, nessun sorriso. Concentrazione al timone, la rotta da seguire, le vele da mettere a segno. Un gran bell’equipaggio quel giorno.
Quando cominciammo a sentire l’influenza del ridosso di Huahine, le onde si fecero più regolari, più lisce, glassy si dice in gergo surfista. 
E d’improvviso, uno dei momenti che non dimenticherò mai nella vita. 
Da destra a sinistra entrarono nel mio campo visivo tre enormi uccelli, in planata lungo la parete dell’onda a pochissimi centimetri dall’acqua. Un volo liscio, senza un battito d’ali, fino a quando uno avvistò una preda sotto al pelo dell’acqua e scomparve così, senza un rumore, per ricomparire pochi metri più avanti con un pesce nel becco.
Passarono, da destra a sinistra, e proseguirono la loro eterna caccia.
La giornata stava finendo quando, da cartografo di bordo, guidai l’imbarcazione verso la passe traguardando i punti cospicui dell’allineamento. Nonostante la fatica, la giornata a digiuno, il freddo e gli indumenti fradici ero concentratissimo e munito di binocolo non mi feci scappare il segnale giallo e nero posto a terra che era il mio riferimento. 
Entrammo all’interno della barriera corallina, piegammo a sud e percorremmo il canale per qualche miglio fino a quando trovammo un approdo dove gettare l’ancora.
“Ora lecchiamoci le ferite” disse Andrea per chiudere la giornata e non poteva usare espressione migliore.

il pescatore
l’alba

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